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Maurizio Topanotti, da “esposto” all’Istituto della Pietà di Treviso a pioniere nello Stato di Santa Catarina in Brasil

Famiglia Topanotti

Da molti anni studio l’archivio della Parrocchia di Limana (Belluno) dove vivo e mi sto dedicando alle ricerche e alla catalogazione dei molti documenti in esso contenuti. È appunto grazie ad una ricerca che mi sono imbattuto in Maurizio Topanotti, che all’inizio avevo scartato come possibilità per la stranezza del cognome, non certo comune dalle nostre parti. L’insistenza da parte dei discendenti in Brasile mi ha portato ad una ricerca più accurata, dalla quale è emerso che questa persona si era effettivamente sposata a Limana nel 1889. Il cognome era strano perché gli era stato dato di fantasia al momento della nascita quale “Esposto” nato presso la filiale di Belluno e poi trasferito all’Istituto della Pietà di Treviso. Nel 1874 infatti fu creata anche a Belluno una Casa degli Esposti presso il vecchio ospedale in via Loreto ed è appunto qui che ha visto la luce Maurizio Topanotti.

Non tutti i piccoli passavano dalla ruota; come nel caso di Maurizio Topanotti. Molti di questi trovatelli sono stati cresciuti come figli naturali (“figli di anima”) all’interno delle famiglie bellunesi che li hanno accolti ed hanno permesso loro di formare una loro famiglia. È sicuramente il caso di Maurizio Topanotti, che deve essere stato allevato con molto amore dalla famiglia di Domenico Pina da Sala di Cusighe di Belluno come un proprio figlio.

Maurizio Topanotti nasce alle ore 3 antimeridiane del 15 gennaio 1866 presso l’Ospitale di Belluno, nel settore riservato agli esposti e alle gravidanze indesiderate. L’accesso all’Ospitale era tramite il portone in via Loreto a Belluno, proprio di fronte alla Chiesa di Santa Maria di Loreto.

Infatti di fronte a questa chiesa si eleva la nobile ma severa mole dell’Ospedale vecchio. Era una filiale dell’Istituto degli Esposti di Treviso aperta nel 1874 e le registrazioni delle nascite avvenivano sui libri dell’archivio della Cattedrale di Belluno, dove si trova l’annotazione della nascita di Maurizio. La madre nubile di Maurizio era Maria Toch di anni 26, figlia di Paolo da Canale d’Agordo (Belluno) e fu registrata come artigiana. Non si tratta quindi di una giovane ragazza, ma di una donna che lavorava forse da tempo nella città di Belluno e per ragioni sconosciute è rimasta incinta ed ha dovuto partorire lontano dalla propria casa di origine in questo luogo, forse anche per le proprie condizioni economiche.

Lo stesso giorno il neonato venne trasferito all’Istituto della Pietà di Treviso dove resterà meno di un mese, perché ritornerà a Belluno il 6 febbraio 1886 per essere allattato dalla balia Teresa De Pellegrin, moglie di Domenico Pina della Parrocchia di Cusighe (Belluno), abitanti nella frazione di Sala. Questa è stata una grande fortuna per il piccolo Maurizio, che gli ha assicurato la sopravvivenza, ma anche la possibilità di tornare e crescere nella terra dove era nato. Inoltre, quello che i discendenti devono sapere è che la madre di Maurizio proveniva da Canale d’Agordo, questo bellissimo paese in mezzo alle Dolomiti dove è nato anche Albino Luciani, poi diventato Papa con il nome di Giovanni Paolo I. È quindi una terra benedetta ed importante per tutti i Topanotti del Brasile.

Maurizio cresce e viene educato dalla famiglia Pina e conosce Luigia Scagnet da Limana, forse per ragioni di lavoro come operaio, chiamato a lavorare in quei luoghi. Si sposano, come da consuetudine, nella chiesa della parrocchia di residenza della sposa, a Limana il 27 novembre 1889.
Nei nostri archivi non si è trovata notizia della partenza di Maurizio e Luigia per il Brasile, che deve essere avvenuta poco tempo dopo il loro matrimonio. Sono sicuro che la famiglia Topanotti del Brasile è in grado di ricostruire la storia del loro antenato da questo momento in poi.

I discendenti di questi capostipiti, come Maurizio Topanotti, devono essere molto orgogliosi delle loro origini e soprattutto del fatto che discendono da un atto di amore e di solidarietà, non molto comune al giorno d’oggi, pur nel benessere che ci circonda.

Negli anni difficili della fame, dell’ignoranza e della carestia, in tutta la Val Belluna molte famiglie numerose e con pochi mezzi hanno aperto la loro casa ed il loro cuore a queste sfortunate creature, dando loro una educazione ed un futuro. Un futuro che ha visto in alcuni casi uno sviluppo straordinario, trapiantando le radici in una terra nuova all’altro lato dell’oceano. La pianta sana ha dato frutto ed ha trasmesso attraverso la fertile terra del Brasile, che l’ha accolta, la storia, l’identità e l’amore di quella Italia sempre rimasta nel cuore, anche di chi, oggi, portando con orgoglio quel cognome, non conosce ancora. Belluno li saluta e manda loro un grande abbraccio nella speranza di poterli abbracciare di persona il giorno che vorranno conoscere la terra di origine del loro antenato Maurizio.

Giorgio Fornasier

P.S. A seguito di questo articolo, un contatto in Brasile mi informa che dovrebbero essere circa 1.800 i discendenti di questo unico capostipite. Tutto questo è straordinario, dopo aver letto la storia!

La Famiglia Olivier si racconta

Da sinistra l’allora presidente ABM Gioachino Bratti con l’allora Assessore ai Flussi migratori Oscar De Bona, Silvana Molin Pradel e Matteo Olivier
Da sinistra l’allora presidente ABM Gioachino Bratti con l’allora Assessore ai Flussi migratori Oscar De Bona, Silvana Molin Pradel e Matteo Olivier

Vi vogliamo raccontare la storia di una famiglia di Codissago, un piccolo paesino, frazione di Castellavazzo, ubicato proprio sotto la diga del Vajont.La famiglia Olivier. Nel 1950, Matteo, il secondogenito, alletà di 18 anni decise che era giunta l’ora di dare una svolta alla sua vita e scoprire nuovi paesi e culture. Nella sua valigia, tra gli indumenti, un pezzo di formaggio, un salame e la foto della amata Luisa; nel cuore tutte le raccomandazioni della mamma e lemozione di nuove esperienze. La sua prima tappa fu la città di Pamplona, nella vecchia Spagna dei Paesi Baschi; qui iniziò la sua epopea di gelatiere come aiutante nella gelateria dello zio Eugenio Bez; dopo tre anni di apprendistato si trasferisce in Galizia, sempre al Nord. Nella città di a Coruña lavora nella gelateria del cugino Giovanni De Cesero, anche lui di Longarone. Ormai cresciuto nell’ambiente e consapevole dellesperienza acquisita, pensa sia giunto il momento di mettersi - in proprio - come si suol dire e apre nel 1956 una gelateria a Vigo, sempre in Galizia, in società con Marco De Cesero; nel 1958, apre la sua prima gelateria a Sitges, località turistica vicina a Barcellona; nel frattempo si era sposato e dal matrimonio con Luisa Olivier Losso nacquero tre figli: Dario, Andres e Juan Carlos. Cresciuti i ragazzi, aprì altre tre gelaterie, oggi gestite dai figli e nipoti. Il fratello maggiore Davide che aveva scelto lAlgeria, lavorò come capo cantiere in una ditta edile. Allo scoppio della guerra civile nel 1962, fugge da Algeri con lultimo aereo per Marsiglia con la moglie Marcella e il primogenito Gabriele.

Da Marsiglia a Barcellona e Sitges il tragitto è breve; lo aspetta il fratello Matteo e così il 17 giugno 1962 Davide apre la prima gelateria italiana a Tarragona ed è subito un successo. A quei tempi gli spagnoli mangiavano il gelato tagliato in porzioni rettangolari che chiamavano “corte”.

I fratelli Olivier dovettero educare a mangiare il gelato in altra maniera, usando il cono o cornetto di cialda che fabbricavano nel laboratorio. A Tarragona, ricorda il figlio maggiore di Davide, Gabriel, nel periodo delle corride, il padre fabbricava gelato dalle sette del mattino a mezzanotte, senza tregua, usando mantecatrici a mano, non automatiche come ora. La discendenza di Davide ebbe due altri figli. Nel ‘63 nasce il secondogenito Armando e infine nel 1965 Raffaele. Ora tra figli e nipoti la famiglia Olivier è diventata una grande famiglia con tante gelaterie artigianali sparse lungo il litorale catalano: possiamo incontrarli da Sitges, Tarragona, Calafell, a Sabadell.A Codissago hanno sempre una casa che li aspetta e tanti amici. Le gelaterie dei fratelli e nipoti Olivier hanno ricevuto il certificato di benemerenza per il loro lavoro dalla Regione Veneto. È doveroso scrivere che il lavoro degli italiani allestero, in particolare quello dei gelatieri, ha dato un valore straordinario al gelato artigianale italiano. La vita del gelatiere è particolarmente difficile, in Spagna ci sono orari impossibili, ma la volontà dei bellunesi è e sarà sempre ferma e rappresenterà degnamente l`Italia all’estero.

Silvana Molin Pradel

Cesare Lamastra

Cesare Lamastra

La mia vita di emigrante pare tratta da un romanzo di Salgari, ma sulle navi che solcavano gli oceani non c’erano i pirati bensì marinai che con fatica e sudore si guadagnavano ogni giorno il sudato pane. Io ero uno di quelli. La storia della mia famiglia è semplice.

Mia madre di Villa di Zoldo aveva trovato impiego a Trieste in una gelateria dove incontrò mio padre che faceva il marinaio. Lui era proveniente dal Sud. Il loro fu un amore a prima vista ed il giorno di San Valentino del 1936 venni alla luce portando un raggio di sole nell’unione dei due sposi.

Giunto all’età scolare frequentai la prima classe elementare a Fiume (oggi Rieka, ma in seguito mia madre decise di portarmi dai nonni a Zoldo per farmi crescere in un ambiente più tranquillo. Finita la quinta elementare praticai una scuola dove insegnavano il mestiere di carpentiere e di muratore e a quindici anni ero in Val Grisende sulla Dora Baltea, dove costruivano una diga; venni poi trasferito a Zoldo in occasione dell’apertura di un cantiere a Pontesei dove avrebbero innalzato una diga. Ai nostri giorni sarebbe inconcepibile per i giovani di quindici anni praticare un lavoro massacrante sotto pioggia e gelo ad ogni stagione, arrampicati ad altezze spaventose con sistemi di sicurezza precari. A quel tempo eravamo in tanti in quella condizione: non abbiamo avuto una vita facile.

Quando si è nati in un luogo dove la natura ogni giorno propone processi nuovi e fantasmagorici spettacoli proposti dal sole, le montagne sembrano precludere lo sguardo per trattenere i propri figli come fa una madre. Ma la valigia diventa imposizione, l’emigrazione croce e delizia dell’uomo. Mio padre, notando la durezza del mio lavoro, un giorno mi portò a Venezia e siccome veniva dalla navigazione gli fu facile farmi avere il libretto di navigazione e così incominciava per me una nuova vita, una vita continua di emigrazione. Incominciai la mia vita di marinaio su una petroliera che trasportava petrolio greggio dall’Arabia Saudita al Nord Europa per poi passare ad altre navi molte delle quali portavano la bandiera del Panama che stava a significare la mancanza di assicurazione. Volevo un lavoro sicuro e finalmente trovai nella “Società di navigazione Italia” ciò che cercavo. Ho lavorato per anni su tante navi. Ricordo con uno stato d’animo particolare la nave “Hermosa”. Ero a Bahia Blanca in Argentina e si doveva caricare del grano. La partenza della nave era prevista per le 9 del giorno dopo e, passata la notte con una bella ragazza, alle 7 mi recai al porto per apprendere che la nave era partita da cinque minuti. Dovetti rimanere a Buenos Aires in attesa di ordini per rimpatriare, ma il ritorno avvenne dopo oltre un anno. Nel frattempo mi ero sposato con una ragazza argentina che mi regalò due splendide bambine per poi volatilizzarsi. Solo, a suon di sacrifici, allevai onestamente le mie figlie.

Avrei tanto da raccontare della mia vita, fatta di luci ed ombre, ma lo spazio è tiranno e devo fermarmi all’essenziale. Michelangelo, Raffaello, Cristoforo Colombo, altri nomi altisonanti mi tornano alla memoria. Ancora mi pare di risentire il fischio che annunciava la partenza. Guardavo l’Italia che si allontanava con un senso di malinconia, ma questa era quasi dolce, perché col pensiero pregustavo, a mesi, la gioia del ritorno. Non ci si abitua mai a partire, le notti dell’emigrante sono trapunte di sogni che brillano come stelle del firmamento, i canti nostalgici, le città visitate in ogni parte del mondo che hanno visto la partecipazione degli emigranti italiani, altri particolari mi facevano sentire orgoglioso di essere italiano.

Una volta smesso il servizio sulle navi, prima di andare in pensione, ho lavorato per dieci anni ad Avellino per rimanere fino al 1994 per poi tornare definitivamente a Zoldo. Nei miei viaggi ho toccato ben 20 nazioni: dalla Svezia all’Africa, dal Nord America al Giappone. Ho toccato – fermandomi più o meno a lungo – oltre cento porti. Non li elenco, ma i loro nomi sono tutti impressi nella mia memoria. Questa la mia vita di emigrante. Nostalgia e fatica, disagi e qualche appagamento, la partenza, il rientro. Luci ed ombre dicevo sopra. Le ombre nel passare momenti bui, dolorosi anche, ma talvolta i sogni si avverano, il destino pare possedere una bacchetta magica. Una sera durante una festa paesana ballavamo all’aperto. Il cielo era trapunto di stelle come quando navigavo al mare. Eros scoccò la sua freccia e credere che i sogni si avverino e che il destino prima o poi ti da ciò che ti ha rubato fu tutt’uno. Annetta era di fronte a me; ora sono dieci anni che mi sta ancora di fronte in ogni momento donandomi amore vero come io lo dono a lei. Abitiamo a Mas di Sedico e talvolta a Zoldo. Nei momenti liberi costruisco navi in scala che mi ricordano la mia gioventù, il mio lungo viaggiare per le vie del mondo.

Mentre scrivo questi miei ricordi di emigrante, Annetta mi è accanto e sento la serenità che mi culla come l’onda del mare. Lei mi è vicina e mi fa capire in ogni momento che sono arrivato in un porto nel quale fermarmi per sempre per assaporare fino all’ultimo giorno della vita la felicità.

Cesare Lamastra

La centrale nucleare

Tranquillo Rinaldo in Zambia, in un cantiere di ricerca dell’uranio
Tranquillo Rinaldo in Zambia, in un cantiere di ricerca dell’uranio

Diversi anni fa mi trovavo nello Zambia come direttore di una compagnia anglo – americana di ricerche minerarie. A quel tempo anche l’Agip Nucleare aveva delle concessioni di ricerca, così noi facevamo le perforazioni anche per loro. Per il fatto che tutti i membri della missione AGIP erano italiani, eravamo legati da una stretta amicizia, in particolar modo con il dr. Luigi Meneghel, che, oltre che essere il direttore, era anche veneto.

Quando l’Università dello Zambia aprì i corsi di Ingegneria Mineraria, fu chiesto a diverse persone, compreso il sottoscritto, di presentare una pubblicazione sui minerali, sui metodi di ricerca, ecc. La mia trattava dei metodi di ricerca nei vari posti del Paese; al dr. Meneghel fu chiesto di parlare di uranio, e l’Agip Nucleare presentò dei campioni di minerale d’uranio. Le nostre pubblicazioni ottennero un buon successo, anzi vorrei dire ottimo, dato che, dopo alcuni giorni, ricevetti un invito del Primo Ministro di recarmi nel suo ufficio (…).

Mi recai nell’ufficio e qui trovai il dr. Meneghel, anche lui con lo stesso invito; nei brevi minuti di attesa ci chiedemmo che cosa mai volesse da noi. Il Primo Ministro arrivò subito, scusandosi per averci fatto aspettare, anche se la nostra attesa non era durata più di due o tre minuti. Mentre noi stavamo ancora chiedendoci cosa volesse, iniziò col dirci che aveva molto apprezzato le nostre conferenze sui minerali radioattivi, per continuare dicendo che secondo lui noi eravamo le due persone più competenti di energia nucleare del Paese. Arrivò infine al motivo per cui ci aveva convocati (francamente io c’ero già arrivato): ci chiese la possibilità che anche la Repubblica dello Zambia potesse avere una centrale nucleare. Ci siamo guardati in faccia e ho visto il dr. Meneghel cambiar colore. Io dissi: “Signor Ministro, lo Zambia possiede con le sue centrali idroelettriche tanta energia che fornisce anche gli stati vicini. E lui sorridendo rispose: “Lo sappiamo”, – ha usato proprio il plurale majestatis, – “ma provate a immaginare quale sarebbe il prestigio per il nostro paese avere una centrale nucleare”. Il dr. Meneghel cominciò a elencare le difficoltà; visto che non venivano recepite, anche lui cominciò a sviare il discorso. Il Ministro, dopo averci ringraziato vivamente, con la richiesta di farci un pensierino, si è congratulato nuovamente per le nostre pubblicazioni e gentilmente ci ha congedati.

Siamo ritornati alla sede dell’Agip e abbiamo faticato non poco a spiegare ai vari membri della missione la richiesta che a tutti sembrava assurda e il tutto è finito a grandi risate.

Questo sta a dimostrare che non tutti sono contrari alle centrali nucleari!

Tranquillo Rinaldo

La straordinaria storia delle famiglie Larese Roia e Pais De Libera

La famiglia Becher in Argentina

Il 16 marzo 2013 si sono incontrati in una antica casa appena fuori Buenos Aires i numerosi discendenti delle famiglie di Antonio e Valentino Larese Roia e Pais De Libera, per ricevere dalle mani di Gianni Pais Becher venuto da Auronzo, una foto scattata nella capitale dell’Argentina nel lontano maggio 1906 e inviata in varie copie ai famigliari rimasti in Cadore.

Una foto che aveva attraversato ancora una volta l’oceano Atlantico per ricordare le sembianze ormai dimenticate dei loro antenati che dopo la metà del 1800 avevano lasciato per sempre le crode delle Dolomiti ed il loro paese natio, per cercare in Argentina di costruire una vita migliore.
Antonio era riuscito ad aprire una libreria in pieno centro di Buenos Aires, vicino alla Casa Rosada. Una libreria frequentata dal fior fiore della cultura argentina, ed una sua figlia ebbe come padrino un Presidente della Repubblica dell’epoca. Valentino aveva sposato una compaesana, Maria Antonia Pais De Libera, ed il nipote Agostino Giuseppe era convolato a nozze con Rosaria Pais Marden.

L'incontro del 13 marzo 2013

Avevano deciso di fare quella foto per inviarla ai famigliari rimasti ad Auronzo, per far conoscere i visi dei figli e nipoti sconosciuti in Patria. La commozione era visibile sul viso di tutti, anziani e giovani quando rigiravano tra le mani la foto, cercando di riconoscere chi il bisnonno o la nonna, chi il proprio padre che allora era ancora un bambino.

Non avevano nel loro archivio una foto di quell’epoca e discutevano tra loro per riconoscere chi fosse questo o quello.
Alla fine si trovarono tutti concordi, i loro antenati tenevano un volto ed un nome e le lacrime rigavano il viso di molti.

Gli abbracci ed i ringraziamenti a Gianni, i brindisi alla foto tornata a casa e al neo eletto cardinale Bergoglio a Papa Francesco.

Le foto di gruppo vengono fatte mentre tutti anche i più piccini gridano ¨Auronzooo!!!”.

Programmano per il futuro di imbarcarsi su una nave e raggiungere Venezia per poi visitare tutta la Provincia di Belluno.

Antonio, Valentino, Giuseppe, Maria Antonia sembrano sorridere felici… sembra… che sia il vino, o sorridono davvero?

Gianni Pais Becher