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Antonio Renon, Ottawa

Antonio Renon, da Ottawa (Canada), originario di Tiser, dopo gli auguri per l’anno nuovo e il ringraziamento per Bellunesi nel Mondo e per il calendario (“Tutto ciò mi riporta ai bei tempi che ricordo ancora chiaramente”) ha accolto il nostro invito, inviandoci la sua “storia di emigrante”, che qui riassumiamo.

“A sei anni cominciai ad andare a guardare le mucche al pascolo, assieme ad un anziano. Quindi, a dieci divenni conža (seggiolaio) con mio padre, prima in Toscana, poi nel Bresciano, dove nel 1943, lavorai nella gelateria di mio cognato. Dopo un periodo trascorso a casa, nel ‘44 fui di nuovo in gelateria e quindi ancora conža e nuovamente in gelateria, finché questa fu costretta a chiudere perché il proprietario del fabbricato aveva bisogno dei locali. Esonerato dal servizio militare (avevo il padre inabile e un fratello minorenne), nel 1947 partii per il Belgio (“braccia in cambio di carbone”), ma dopo un anno di lavoro da minatore mi trovai che non avevo più forze, e, dopo varie visite mediche, ritornai in Italia, da mia madre. Nel 1951 partii per il Canada, con destinazione St. Thomas (Ontario), prima come bracciante agricolo, poi come installatore di fognature e condutture d’acqua,e, più tardi, nel 1952, nel Nord Ontario, come boscaiolo in una ditta che aveva una cartiera che forniva la carta ai giornali di New York. Nel dicembre del 1958 partii per l’Italia per sposarmi, a Monza, con Daria, anche lei di Tiser, emigrata con la sua famiglia ancora nel 1942. Non mi fermai a lungo; d’accordo con mia moglie, decisi di ritornare in Canada per il clima, dato che non sopporto il caldo. Presi subito lavoro ad Ottawa e cominciavo ad imparare il mestiere di muratore, quando un’ulcera duodenale mi costrinse, su suggerimento del medico, ad un lavoro meno faticoso. Dato che avevo già la cittadinanza canadese riuscii ad ottenere un impiego come addetto alla pulizia e manutenzione di fabbricati, lavoro che praticai per ben 29 anni, fino al pensionamento, a 65 anni. Sono stato fortunato: non ho mai avuto infortuni sul lavoro, anche in mestieri pericolosi come minatore e boscaiolo (In Belgio mi sono salvato per tre minuti, grazie ad un sorvegliante). Mi scuso di questa lunga chiacchierata (ho fatto solo la quarta elementare e la quinta serale) e vi lascio con il rinnovo del mio abbonamento”.

Antonio Renon

Emigranti bellunesi si sentono a casa nella “Citè del minatore” in Belgio

Da sinistra a destra Rino, Noemi e Riccardo sotto la statua della regina Elisabetta
Da sinistra a destra Rino, Noemi e Riccardo sotto la statua della regina Elisabetta

I fratelli ‘Bob’ Riccardo (81) e Rino (76) e la sorella Noemi (79) Sponga sono nati a Eisden (Belgio) negli anni trenta, e vivono ancora nel quartiere giardino della “Cité del minatore”. “Nostro padre , Attilio, con radici a Sedico (Belluno), è nato a Selbeck in Germania. Da lì è venuto in Belgio via Francia con due fratelli, prima a Charleroi, poi a Beringen e infine, nel 1926, a Eisden. Seguirono quattro sorelle” – così Bob inizia a raccontare la storia di una famiglia di emigranti bellunesi – “ Nostro padre ha incontrato qui nella cité nostra madre Mafalda Brentel, anche lei venuta dalle Alpi, da Aune di Sovramonte, vicino a Feltre”.

“Siamo tutti nati nella stessa casa, dove ho poi portato un figlio e una figlia nel mondo – continua Noemi. “Papà aveva solo 48 anni quando, dopo 30 anni lavoro pesante nella miniera di carbone, dopo sei mesi di pensione è deceduto a causa della polvere di carbone nei polmoni. Triste destino di molti dei suoi amici minatori della sua generazione!”, dice Rino, che pure ha lavorato per diversi anni nella miniera di carbone di Eisden, dove anche Bob, cominciando a 14 anni, ha lavorato per 30 anni.

Soprattutto gli anni della guerra hanno lasciato una profonda impressione. “Nel giardino dei nostri vicini, una bomba è esplosa” ricorda Rino. “Tutte le finestre nella casa sono andate in mille pezzi e il soffitto è venuto giù,” racconta Noemi che, insieme con i fratelli, è cresciuta all’ombra del parco reale, costruito in onore della visita della regina Elisabetta.

“Abbiamo trascorso tutta la nostra vita qui a Eisden. Ora non vogliamo più andare via da qui. A volte ritorniamo a Belluno in montagna. L’atmosfera delle Dolomiti non si trova nella nostra regione in Belgio”.

Jos Miscoria (Eisden – Belgio)

Un incontro in miniera

Minatori

Diversi anni fa mi trovavo a Bruxelles, ospite della Diamant Board, una compagnia costruttrice di macchine e materiali di perforazioni, dove ho tenuto una serie di conferenze sui moderni, per allora, metodi di perforazione. All’Università di Louvain ho incontrato un caro amico, l’ ing. Gorge Van Anderlect, che mi chiese il parere per un problema che aveva in una miniera di carbone in Inghilterra, problema in teoria facile da risolvere, ma in pratica molto difficile: consisteva nel praticare dei fori orizzontali lunghi 400 m. nel banco di carbone, senza uscire dal banco stesso, che servivano a determinare se ci fossero delle sacche di “grisou”, il tanto temuto gas, che è la causa principale delle sciagure nelle miniere di carbone (…).

Decisi di accompagnare l’amico in Inghilterra per rendermi conto in sito cosa si poteva fare per far sì che i fori non deviassero dallo strato di carbone.

Scesi in miniera, e, mentre percorrevamo un cunicolo piuttosto basso, picchiai con l’elmetto in una sporgenza di roccia, e mi lasciai scappare in italiano uno spontaneo “Accidenti a questi maledetti buchi!”. Vicino a me, piegati per lasciarci il passaggio, c’erano due minatori ed uno di questi, mentre cercavo di riaggiustarmi l’elmetto, mi disse: “Siete italiano?” Risposi affermativamente tentando di indirizzare la luce sul mio interlocutore. Era un uomo sui trent’anni; a prima vista poteva anche essere un sudanese tanto era nero; si vedeva solo il candore dei denti e il bianco degli occhi (…).

Mi fermai, volevo sapere come aveva fatto ad arrivare in una miniera di carbone inglese. Mi disse che era calabrese, d’essere sposato con quattro figli e di aver trovato quel lavoro tramite un amico che viveva in Inghilterra, più o meno la storia di tanti. Lavorava in quel posto da una decina di giorni, aveva anche una grande nostalgia dell’Italia e della sua famiglia.

Lo lasciai parlare; intercalava parole in italiano con altre in diletto calabrese e mentre parlava due rigagnoli di lacrime lasciavano i segni sulle guance nere coperte di polvere e non ho potuto fare a meno di pensare che quella polvere si stava accumulando anche nei polmoni. Dopo un paio di frasi di incoraggiamento, che non ho potuto fare a meno di giudicare estremamente banali, lo lasciai; al ritorno lo ritrovai e mi fermai ancora un paio di minuti ad incoraggiarlo. Ricordo che mi prese la mano e prima che potessi ritirarla la baciò facendomi sentire molto imbarazzato, e mentre m’allontanavo sentii che mi diceva “Salutatemi l’Italia”.

Alla sera, con l’auto che mi portava all’aeroporto, sono passato vicino alla miniera e, mentre guardavo i cumuli di carbone che si stagliavano nel cielo come piccole colline, non ho potuto fare a meno di pensare a quel minatore calabrese e spontaneamente credo di aver chiesto per lui la protezione di Santa Barbara, dato che certamente ne aveva bisogno.

Tranquillo Rinaldo

Ines Paniz

Ines Paniz

Questa Famiglia vorrebbe rendere un omaggio a “madame” Ines Paniz, nativa di Mas di Sedico, con la sua bella età di 97 anni!
Partì giovanissima per Milano come tante altre persone in cerca di lavoro, a servizio. Con tanti sacrifici imparò pure il mestiere di sarta, ottenendo un attestato. Ritornò a Belluno e sposò Matteo Salton col quale ebbe un figlio: Ido. Rimase vedova a 33 anni.

Prese la decisione di partire per la Svizzera lasciando suo figlio ai suoi genitori. Il suo scopo era di racimolare un po’ di soldi e portare con sé suo figlio. Lavorava di giorno e alla sera faceva lavori di cucito per le famiglie ricche di questa città; la sua grande soddisfazione è stata quella di potersi offrire una macchina da cucire. Nel frattempo si risposò con un signore svizzero che aveva un figlio piccolo, di due anni, e poté portare con sé suo figlio Ido e formare una famiglia. Ido poté fare la sua scolarizzazione e imparare un mestiere. Purtroppo morì di infarto a 59 anni. Ines, con la sua nipotina, cercò di accettare questo dolore, di farsi forza e di andare avanti. Il bimbo cui aveva accudito dall’età di due anni ora è papà e le vuole tanto bene. Hanno mantenuto degli ottimi rapporti e lui la considera sua mamma.

Ora Ines vive nel suo appartamento e accudisce alle sue faccende circondata da tante persone che le vogliono bene. Sono tanti anni che fa parte della nostra Famiglia, partecipa a tutte le nostre manifestazioni, è una persona solare e tutti le vogliamo un gran bene. Legge con piacere il giornale “Bellunesi nel Mondo” ed è fiera delle sue radici bellunesi. Per noi tutti è un esempio, e le auguriamo tutto il bene del mondo e… avanti per il centenario! Con affetto.

Lidia e Giuseppe De Biasi
Famiglia Bellunese di Le Locle (Svizzera)

Candido e Irvana Tonet

La famiglia   festeggia il 60° compleanno di Candido Tonet. Da sinistra Sonja, Candido, Irvana e Mario Tonet
La famiglia festeggia il 60° compleanno di Candido Tonet. Da sinistra Sonja, Candido, Irvana e Mario Tonet

Candido e Irvana Tonet si incontrano in Svizzera. Sono entrambi di Pedavena, ma non si conoscevano; è stata l’emigrazione in Svizzera a farli incontrare.

Candido, secondogenito con tre sorelle e due fratelli, era l’unico che aveva studiato, ottenendo il diploma di meccanico. Va per la prima volta in Svizzera nel 1955 e vi ritorna nel 1957. Il papà lavorava come capo in un’impresa che costruiva dighe in tutta Italia, mentre la mamma conduceva una piccola azienda agricola. Anche la madre di Irvana aveva un po’ di campagna, mentre il papà lavorava come birraio nella birreria Pedavena. Aveva quattro sorelle. Dopo la scuola, a 14 anni, dopo aver lavorato dalla nonna, durante la guerra va a Torino presso una famiglia, dove impara bene a cucinare; nel 1957, a 19 anni si trasferisce da una sorella in Svizzera e trova lavoro in una fabbrica di vestiti. In poco tempo impara il tedesco e si trova bene. Dopo un po’ la sorella torna in Italia e lei rimane sola ma, tramite una conoscenza, durante una passeggiata lei e Candido, che già aveva adocchiato la bella ragazza, si incontrano. Nel 1958 ritornano nello stesso treno a Pedavena per festeggiare il Natale in casa e nel 1961 si sposano.

Nel 1963 nasce Sonja e nel 1969 Mario. Quando vanno a scuola i due bambini sono gli unici italiani e vi trovano un ambiente accogliente. Ma i genitori hanno a cuore lo studio dei figli e temono che non avrebbero potuto frequentare le scuole secondarie. Ma i ragazzi fanno corsi di tedesco, riescono bene. Sonja va in America all’università, trova lavoro al Bund e si sposa. Mario prende il diploma di “Electro Meister”. Per entrambi l’Italia è la terra delle ferie dei genitori.

Irvana ha lavorato per 35 anni come responsabile di una filiale della “Micros”, ora è in pensione e le manca il contatto con le persone. Candido è prepensionato, dopo aver lavorato per 25 anni presso una ditta di peneumatici e aver fatto il pendolare. Sono entrambi legati all’Italia e al proprio paese, dove si sono costruiti una casa per il dopo; Irvana, però, pensa di non abitare sempre a Pedavena, perché vuol passare la vecchiaia vicino ai figli. Ha due anime: l’Italia e la Svizzera. Candido è felice di essere italiano. Immagina la vecchiaia a Pedavena con parenti, amici e chiacchierate in piazza e al caffè. In Svizzera gli manca “l’italianità”.

Silvia Orlando Akagi (trad. Mario Sechi)
(tratto, ridotto e adattato da “Einwanderer” – Maur – Svizzera, 2000)