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Angelo Antoniol

Nacque a Lamon il 2 novembre 1900. Appena sposato ad una giovane del luogo, Anna Mastel, lascia il paese natale nel 1923 ed emigra nel Belgio, bacino di Liegi, seguendo il destino di tanti a cui la terra era stata avara. La vita della sua famiglia, accresciuta di sei figli è una continua lotta sia per le difficoltà ambientali che per i tempi difficili che corrono; ma egli, uomo dalla volontà ferrea, con una fede in Dio più forte delle montagne che aveva lasciato, onora la sua terra e quella ospitale con il duro lavoro di minatore. La fede negli ideali di famiglia, Dio e Patria, lo vede lavorare fianco a fianco coll’allora primo missionario italiano in Belgio, il defunto Piumatti per la realizzazione della prima Missione Cattolica Italiana in Belgio per dare agli emigranti italiani un luogo in cui riunirsi negli anni trenta-trentacinque, sormontando le difficoltà d’ambiente e qualche volta anche certe ostilità per l’insorgere di questa missione guardata dalla gente del luogo come un’avventura. Il “savoir faire” e la pazienza però di questi due pionieri, è il caso di dirlo, e il coraggio acquistano col tempo il benestare tanto della parte civile e religiosa belga. La guerra non smorza in Angelo Antoniol lo spirito creativo e combattivo, continua nel lavoro di apostolato perché la missione che Dio gli aveva affidato non scompaia. Lavora con il signor Vincenzo Bombardieri alla fondazione dell’Azione Cattolica nel 1947. Gli emigranti italiani trovano in lui il consigliere, l’aiuto, le suore delle Poverelle chiamate alla missione per dare assistenza agli emigranti non bussano mai invano alla sua porta: povere tra i poveri. Gli è compagna fedele la moglie Anna che nei momenti difficili lo sostiene con amore e dedizione. L’attaccamento agli ideali della famiglia, del lavoro della chiesa gli merita la Croce di San Silvestro Papa benignamente concessagli dal Santo Padre e che Monsignor Forte gli rimette in una riunione straordinaria a cui partecipano amici, conoscenti e tutte le Organizzazioni Cattoliche. Minato dall’inesorabile male della mina, continua nel suo cammino anche sofferente  e lo si continua a vedere nelle varie riunioni a carattere religioso. Morì il 27 novembre 1968 a Seraing, Liegi.

Fonte: BNM 1970

Primo Capraro, fondatore di Bariloche

foto di Primo  Capraro con la moglie Matilde e la figlia Luisa.
Primo Capraro con la moglie Matilde e la figlia Luisa.

Questa è la storia di Primo Capraro, che all’inizio del secolo partì da Castion di Belluno per le Americhe con una semplice valigia per “far fortuna”. Egli nacque nel 1875. Giovane studioso, tenace nei propositi e con una grande ambizione, lavorò in Austria, in Svizzera e in Germania presso imprese di costruzioni di strade, di ponti, di dighe, finché i problemi in discussione sulla stampa per l’avvenire del Messico e della Florida, col miraggio della ricerca dell’oro, non richiamò la sua attenzione. Concluso un contratto per due anni con la ditta Mother e Sous Ltd di Londra che cercava mano d’opera per le miniere di Pachusa nel Messico, partì come capo di una squadra di operai con una semplice valigia e tante speranze. Il viaggio fu un’avventura! Giunti a Pachusa, quando credono di essere alla mèta, il gerente della Compagnia delle miniere Mr Conrad Wilde non vuol riconoscere le autorità londinesi che hanno rilasciato il contratto e rifiuta l’ingaggio. Capraro non si perde d’animo e convince i compagni a proseguire per le miniere di Potosì dove un’altra delusione li aspetta. In quelle miniere non si lavora più. Nella squadra c’è chi pensa la ritorno, ma Capraro tiene duro e riesce a persuadere i compagni ad andare più oltre e tentare la via Valparaiso – Buenos Aires. Giunti a Santiago, inopinatamente, gli avvenimenti precipitano e la squadra si sbanda. Capraro, con qualcun altro, decide di restare in quella città e subito si dà alla ricerca di una soluzione prendendo in considerazione il problema della zona del Nahuel Huapi e della Patagonia, la cui valorizzazione è validamente sostenuta da Perito Moreno. La regione è incantevole per i suoi laghi, le sue montagne, i suoi boschi. Visita Porto Blest, Los Cantaros, Isola Vittoria, Baia Lopez, i laghi Moreno e Mascardi e, appreso che nei torrenti che si gettano nel Correntoso si può trovare l’oro, ne tenta la ricerca. L’avventura fallisce! Disponendo di mezzi che gli consentono una certa indipendenza, si dedica al taglio di boschi per la produzione di legname che è ricercato. È la volta buona: è la strada che lo condurrà al successo. A Mendoza risiede suo fratello Secondo e con la sua collaborazione conclude con l’ing. Princeton, direttore di una impresa proprietaria di grandi fattorie a Leleque, un contratto per la fornitura del legname per la costruzione di baracconi, recinti per animali ed altre opere necessarie per tre grandi fattorie. In seguito, avendo ottenuto con poco denaro, dal Governo Argentino 625 ettari di terreno con grandi boschi, decide di stabilirsi nella tranquilla insenatura di Correntoso che ha alle spalle il monte Belvedere, di fronte il lago e in fondo la Baia Ultima Esperanza. La ricchezza del suolo e la bellezza dei paesaggi sono tali da offrire tutte le possibilità per la creazione di una zona turistica. Espone agli amici i suoi progetti, ma non è preso sul serio, tante sono le difficoltà da superare. Capraro, forte del suo spirito di iniziativa e della sua giovinezza, vince ogni perplessità e, trovati dei capitali, getta la base. Siamo nel 1903. A Baden, in Germania, ha la fidanzata con la quale è sempre stato in corrispondenza e decide di sposarsi. Celebra il matrimonio a Buenos Aires dove egli si reca ad attendere la sposa e, nella capitale ha modo di contrarre amicizie con personalità della diplomazia, ingegneri, ed ottiene di essere presentato al ministro dell’Agricoltura e al direttore degli Uffici di immigrazione. Celebrato il matrimonio in forma assai semplice e raggiunto in treno General Roca, il viaggio di nozze prosegue su di un carro diretto a Nahuel Huapi. L’equipaggiamento ha del curioso: la sposa porta con sé ben quindici bauli, lo sposo una semplice valigia come quando emigrò. Stabilito quale dovrà essere il quartier generale delle sue attività, il Capraro inizia il reclutamento della mano d’opera. Partirà così da Genova un numeroso gruppo di artigiani di Castion e di Belluno insieme alle loro famiglie e la carovana dei futuri abitanti di Bariloche e della nascente San Carlos offrirà al suo arrivo uno spettacolo insolito perché è un piccolo esercito di pacifici conquistatori organizzati e disciplinati verso un avvenire di lavoro e di fortuna, grazie alle favorevoli disposizioni che il Capraro, durante la sua permanenza a Buenos Aires, ha saputo ottenere dal Ministero dell’Agricoltura. I progetti, con un lavoro che non conosce soste, cominciano a realizzarsi. Sorgono le prime case, poi industrie con una centrale elettrica, segherie, falegnamerie, officine meccaniche. Con l’andare del tempo il Capraro ha modo di sviluppare le sue attività. Diventa grossista di frutta della regione; importa ed esporta bestiame. È Agente Ford e dell’YPF (yacimentos petroliferos fiscales), Corrispondente della Banca d’Italia. Non trascura la politica e collabora ai giornali argentini: “La Nacion” e “La Patria degli Italiani”. Sostenuto dalla stampa, continua la valorizzazione della zona e San Carlos va progredendo in modo tale da consentire agli emigrati un sempre migliore tenore di vita. Il Governo gli concede la costruzione della Succursale del Banco di Napoli e poiché non trascura l’istruzione della popolazione riesce a far sorgere una scuola tutta in pietra su suo progetto. Giunge così, dopo tanti anni di ininterrotto lavoro, il momento di fare un bilancio non solo dell’attivo e del passivo, ma anche un esame dell’organismo del Capraro che è andato logorandosi ma, Primo non è un uomo da arrendersi perché vuole sempre restare sulla breccia. Fu l’inizio di un dramma ignorato sia dalla famiglia che dagli amici. Quando la massicciata che dovrà collegare Nahuel Huapi alle linee di comunicazione della capitale e assicurare l’arrivo dei treni in Bariloche, massicciata che gli costò tanti sacrifici finanziari e battaglie, non è più una utopia, ma una realtà, il destino beffardo gli giocherà un brutto tiro. L’uomo che da solo, dal nulla, lottando in tempi difficili durante un trentennio non avrà la soddisfazione di cogliere il premio di tanto lavoro. La mattina del 4 ottobre 1932, nel suo studio, Capraro fu trovato accasciato sul tavolo da lavoro. Il popolo che lo amava riconobbe in lui un pioniere e, sul declivio della piazza “Espedicionarios del Deserto” fece sorgere un monumento in bronzo perché sia ricordato alle generazioni. Al suo nome è stata intitolata una delle più suggestive strade di Bariloche. San Carlos  è oggi un centro turistico, una Svizzera argentina.

Fonte: BNM 1970

Vittorio De Vecchi

Nacque a Tisoi di Belluno il 6 gennaio 1897; perse il padre non ancora cinquantenne a seguito di silicosi e così fu anche per un fratello. A Tisoi Vittorio frequentò la prima elementare. A soli dieci anni trovò occupazione stagionale in Trentino come ciodet. Emigrò in Francia già nel 1911, occupato nel duro lavoro delle cave di pietra nel bacino di Comblanchien. Nel 1916 ritornò in patria, partecipando alla Prima Guerra Mondiale; venne decorato con la Croce di Guerra. Qui iniziò a lavorare in ferrovia ma purtroppo dopo qualche mese venne licenziato e dovette riprendere la valigia per l’estero dove l’attendevano fatica, sudore ed umiliazioni. Ritornò in Francia nel 1921, dove sposò Carlotta Giozzet di Belluno. Nel 1934 divenne proprietario di una cava iniziando in proprio l’attività del taglio della pietra ed optò per la nazionalità francese. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu mobilitato sul fronte francese e gli venne concessa la medaglia interalleati ed altri riconoscimenti. Finita la guerra, riprese la sua occupazione fino all’età di 65 anni. Con l’età della pensione, Vittorio potè dedicarsi al lavoro artistico e alla scrittura di poesie, più volte pubblicate sul nostro giornale. Il figlio Renato, che gli successe nella conduzione dell’attività, è stato anche sindaco di Buffon. Oltre ad essere Cavaliere di Vittorio Veneto, Vittorio De Vecchi ricevette vari riconoscimenti sia in Italia che in Francia. Morì a Buffon il 10 marzo 1988, all’età di 91 anni. 

Fonte: BNM n.2/1883 e n.9/1988

Giovanni Brandalise e Angela Grando

primi piano di Giova

Nell’aprile 1876, Giovanni Brandalise e Angela Grando emigrarono a Caxias do Sul con la loro figlioletta Lucia. Con loro anche i genitori di lui, Antonio e Lucia, e il fratello Odoardo, che portava con sé la seconda moglie Domenica Ceccon e il figlio Giuseppe. In Brasile Giovanni e Angela ebbero altri undici figli. Arrivarono poi nel Rio Grande anche le due sorelle gemelle di Giovanni, Angela e Maria Maddalena, con i rispettivi mariti Bartolomeo Franzoi e Giacomo Grando. Le famiglie Brandalise diedero quindi vita ad una vasta discendenza. 

Giovanni Dall’Agnol

Conosciuto come Nane pianelo per via del luogo pianeggiante su cui sorgeva la loro casa a Fastro di Arsié, Giovanni Dall’Agnol, classe 1877, emigrò in Brasile da bambino con i genitori Antonio e Domenica Dalle Mule. Si stabilirono prima a Bento Gonçalves e poi a Caxias do Sul, in un lotto della Linha Sertoria. A vent’anni Giovanni si sposò con la compaesana Regina Domenica Dall’Agnol e diede vita ad una numerosa famiglia, ebbero infatti ben 12 figli. Sono tutti presenti nella bella foto sotto, scattata nel 1921: Giovanni e Regina sono al centro con l’ultimogenita Amabile Maria; vicino a loro il primogenito Fiorello con la moglie Regina Berti e il figlio Adolfo. Tutt’attorno gli altri dieci figli: Daniel, Amadeu, Candida, Dosolina, Vitória, Josefina, João, Valentino Clemente, Cristiano Teodoro e Marcelo Bartolomeu. Giovanni morì a 82 anni, nel 1959.

Foto della famiglia di Giovanni e Regina Dall'Agnol