Category “Vite migranti”

Storie di emigranti bellunesi

La storia di Angelo Tabacchi

Angelo Tabacchi e Giorgina Boccingher il giorno del loro matrimonio

Una storia di vita e di emigrazione, bella e dolorosa nello stesso tempo, è quella che ci racconta un ex emigrante, socio della Famiglia emigranti del Cadore: Angelo Tabacchi, classe 1940 di Sottocastello.
«Quelle della mia vita – racconta per introdurre la sua storia – sono piccole e grandi traversie che segnano per sempre la quotidianità di una famiglia.
Finiti gli studi all’Istituto Tecnico di Pieve di Cadore, mi trovai subito faccia a faccia con il lavoro vero in un cantiere quando emigrai nel Cantone Vallese, a Mattmark, dove rimasi dal 1957 al 1959. Su consiglio della mia famiglia, secondo la quale quel lavoro non era adatto a me, rientrai in Italia e iniziai a lavorare nel settore elettrico con la ditta Vascellari di Calalzo. Devo dire che il consiglio fu giusto, perché il nuovo lavoro mi piacque subito, anche grazie alle mansioni che mi vennero assegnate. Nel 1963 lavoravo a Longarone a un compito importante, che riuscii a completare appena venti giorni prima della frana del Monte Toc che travolse il paese. Mi andò bene, visto che lo sto raccontando, contrariamente a molti miei colleghi che furono travolti dalla piena. Per me fu ugualmente un brutto colpo.

Due anni dopo, nel 1965, mi sposai con Giorgina Boccingher. Una bella giornata, in parte rovinata dalla notizia della tragedia di Mattmark, che si portò via molti miei paesani e amici.

Un anno di vita tranquilla, attendendo la nascita del primo figlio, Matteo, venuto al mondo nel novembre 1966, proprio in concomitanza con la grave alluvione che stravolse il Cadore e il Bellunese. Un avvenimento duro e tragico per chi lavorava nel settore elettrico. Seguirono anni di vita tranquilla, rallegrati nell’aprile del 1976 dalla nascita del secondo figlio, Nevio. Una vita normale, con tante gioie in famiglia e in attesa di festeggiare le nozze d’oro, che ricorrevano nel settembre del 2015.
Furono anni felici, nei quali la nostra famiglia visse facendo anche terminare la scuola ai due figli. Purtroppo, all’inizio di quell’anno mia moglie venne colpita da un tumore che si aggravò velocemente, tanto che a malapena riuscì a sopravvivere alla festa e morì il 31 dicembre. Fu un dolore immenso, l’amavo molto. Si era dimostrata veramente una madre di famiglia come avevo desiderato.
Un dolore reso ancora più forte dal fatto che solo due mesi prima, il 28 ottobre, era morto anche mio fratello Giovanni.
Ora vivo nella casa di famiglia a Sottocastello, sempre vicino ai miei figli Matteo e Nevio, che mi stanno dando tante soddisfazioni.

Storia raccolta
da Vittore Doro

Vida e Laoro. Storie della Famiglia di Quintino Padoin e Irma Scarpato

Irma Scarpato e Quintino Padoin

La storia della famiglia di Quintino Padoin e Irma Scarpato inizia nel Nord Italia, da dove partirono i loro nonni. Domenico Padoin ed Eleonora Teresa de Doni, nonni di Quintino, provenivano da Pieve di Soligo, in provincia di Treviso. Luigi Scarpato e Maddalena Seraffin, i nonni di Irma, provenivano da Polcenigo, in provincia di Pordenone.
La nave “Umberto I” partì dal porto di Genova diretta a Rio de Janeiro, in Brasile. Su questa nave c’erano Domenico Padoin, sua moglie Teresa, i figli Pietro, Gregorio e Luigi, e suo fratello Giuseppe.
Da Rio de Janeiro arrivarono a Laguna, nel Sud dello stato di Santa Catarina. Da Laguna, attraverso il fiume Tubarão proseguirono fino alle colonie di Azambuja e Urussanga.
Gli immigrati trevisani occupavano le terre inferiori del fiume Urussanga, dove si trovano le comunità di São Pedro, De Villa, Estação Cocal e Morro da Fumaça. La terra in cui si insediarono si trovava nella comunità di San Pedro, in una fitta foresta; poi con molto lavoro si dedicarono alla coltivazione delle piantagioni, all’allevamento degli animali e alla costruzione di una piccola residenza. Tutto questo nel 1879. Lì nacque Pellegrin Padoin, padre di Quintino.
Pellegrin Padoin nacque il 13 maggio 1884, all’età di venticinque anni sposò Joana Zaccaron con cui ebbe otto figli: Antônio, Ida, Amélio, Quintino, Aurora, Izélia, Zuleima e Agenor. La coppia viveva nella comunità di Linha Pagnan, vicino a Estação Coal. Pellegrin era considerato un bravo lavoratore. Insieme ai figli e alla moglie aveva grandi piantagioni e allevamenti di bestiame.
Quintino crebbe intorno alla comunità di Estação Cocal. Nei primi giorni di scuola, rimase sorpreso dal modo in cui l’insegnante parlava in portoghese. Dopotutto, in quella zona parlavano italiano, o meglio, il dialetto veneto. Il suo divertimento era quello di andare nei boschi con gli amici e a pescare sul bordo del fiume Urussanga. Una volta non riuscì più a pescare – ricorda Quintino – perché l’estrazione del carbone a Urussanga nei primi anni ‘30 inquinò le acque del fiume, facendo sparire ogni tipo di pesce. Lavorava alla fattoria, a volte caricava i vagoni dei treni con sacchi di grano per guadagnare un po’ di più, e produceva anche scope da vendere, fatte con le foglie di alberi di cocco.
La famiglia di Luigi Scarpato si stabilì nel 1885 nel Núcle Accioly de Vasconcelos, attuale località di Linha Espanhola, dove nacque João Scarpato, il padre di Irma.
João Scarpato sposò Joana Brunato, con la quale ebbe tredici figli: Primo, Angelica, Otávio, Zeferino, Domingo, Vitório, Irma, Maria, Quintino, Agenor, Rosalino Amelia e Zuleima. João era un abile costruttore e trascorse molto tempo lontano dalla famiglia, operando in tutta la regione e anche nello stato di Rio Grande do Sul.

Mina Fluorita

Irma Scarpato da piccola lavorava alla fattoria con i suoi fratelli e la madre, viaggiava in carrozza trainata dai buoi, guidata da suo fratello Octavio. Frequentava la scuola al Rio Comprudente e ci andava alle prime ore del mattino, anche durante l’inverno, con i prati coperti di brina. A mezzogiorno tornavano a casa per il pranzo e di solito mangiavano formaggio, polenta, radicchio e salame. Ogni volta si fermavano durante il cammino, guardavano gli alberi pieni di frutti e raccoglievano la araçá, un frutto molto buono.
Irma terminò gli studi al quarto anno elementare perché, com’era comune per le donne dell’epoca, doveva prepararsi per diventare sposa e per prendersi cura di una famiglia generalmente numerosa. Negli anni ‘40, tra i quindici e i sedici anni, iniziò a frequentare le domingueira, ovvero le feste nel pomeriggio domenicale che si svolgevano nel centro comunitario della chiesa. I genitori erano molto severi, lei e le sue amiche dovevano tornare a casa prima che il sole tramontasse, quando il padre non le accompagnava alle feste. Andavano a piedi nudi, tenendo le scarpe in mano fin quando erano vicine al posto della festa, si lavavano i piedi e si mettevano le scarpe pulite.
In una di queste domeniche, nella comunità di São Pedro, Irma incontrò Quintino Padoin, ma lui, che era molto timido, esitò a rivolgerle la parola. Prima parlò con gli amici e solo più tardi con lei. Una volta la accompagnò a casa nel ritorno da una delle feste. Poco tempo dopo chiese di sposarla al padre di lei, e ciò avvenne il 22 giugno 1952.

Irma e Quintino, dopo il matrimonio vissero con i genitori di Quintino nella comunità di Linha Pagnan. Ebbero cinque figli: Ademar, Neiva, Natal, Vanilda e Edson. Dopo la nascita del secondo figlio costruirono una casa nella comunità di Linha Torrens, vicino alle famiglie Casagrande e Sartor. La vita rurale continuò, Quintino in agricoltura e allevamento di maiali, Irma, invece, produceva formaggi per venderli.

La storia di questa tipica famiglia di immigrati italiani cambiò direzione in seguito a un sogno. Uno dei vicini, Venicio Casagrande, sognò che c’era della pietra fluorite in un corso d’acqua nella proprietà di Quintino, vicino a dove si trovavano i maiali. Quintino, che sapeva poco del minerale, disse: «Nella terra dei poveri non c’è nulla, solo serpente, rospo e rana». Il giovane Venicio sognò altre tre volte la stessa cosa e un giorno, mentre lui e suo fratello stavano pescando in quel piccolo fiume, trovarono delle pietre verdi e gialle. Poco tempo dopo tornarono con i picconi per cercare altre di quelle stesse pietre e trovarono pezzi più grandi di quelli che avevano mostrato a Quintino; lui fu entusiasta e da quel momento, nel 1960, iniziarono in modo rudimentale a scavare la pietra fluorite nel posto.
Quintino e i giovani Giacco, Cuba e Venicio Casagrande estraevano mucchi di pietre, ma senza sapere se ci fosse realmente valore commerciale. Nessuno aveva conoscenze tecniche su quel tipo di lavoro, ma iniziarono con quello che avevano: picconi, pale, mazze, sudore e coraggio. Dopo la scoperta del valore commerciale, vennero costruite delle miniere, e intorno ad esse venne fondata una nuova comunità: la comunità Vila Mina Fluorita. La gente iniziò a cercare lavoro e si stabilì in quella zona; altre miniere furono scoperte, come la miniera della famiglia Sartor. Nel 1961 fu fondata la Mineração Santa Catarina.
Anche se l’attività principale della famiglia era quella mineraria, a Quintino e Irma piaceva la semplice vita rurale. Nella loro nuova casa, più lontano dall’area mineraria, crebbero i loro figli, nipoti e pronipoti.
Quintino ha salutato il mondo nel 2006, dopo una domenica in famiglia alla festa di Sant’Antonio.

Fernando Luigi
Padoin Fontanella

Giampiero Selle. Da Tiser di Gosaldo allo stato del New Jersey, Stati Uniti

Giampiero Selle
Giampiero Selle

Giampiero Selle è nato a Tiser di Gosaldo, provincia di Belluno, il 30 aprile del 1932, è deceduto il 16 febbraio 2018 nello stato del New Jersey, Stati Uniti. 
E’ cresciuto a casa con sua madre Bruna, sua nonna Giovanna e la zia Irma, perchè suo padre era emigrato diversi anni prima a New York negli Stati Uniti e abitava nel quartiere chiamato Little Italy. Nel 1949 a soli 17 anni Giampiero a Manhattan ha raggiunto suo padre. Per un po’ di anni ha lavorato in diversi ristoranti della città, diventando un bravo cuoco.
Questo gli è servito qualche anno dopo, quando nel 1952 è stato chiamato a fare il militare per due anni al tempo della guerra in Corea. Nel 1958 è ritornato in Italia e si è fermato per un anno. Ha conosciuto Giuseppina Bedont e si sono sposati in ottobre di quell’anno.
Nel 1959 è andato a vivere nello Stato del New Jersey, ha cambiato lavoro, ha fatto il piastrellista per il resto della sua vita, anche con l’aiuto della moglie. Hanno avuto due figli e una figlia e ora la famiglia si è ingrandita e conta dodici nipoti che gli volevano tanto bene.

Giampiero aveva un fratello che vive a Belluno, sposato con due figlie e due nipoti.

Giampiero ha vissuto una vita molto produttiva, era un artista sul lavoro e un bravissimo cuoco, cucinava spesso per la famiglia, la sua specialità era la torta di formaggio, chiamata cheese cake.

Giuseppina (Josephine) Bedont Selle

Evaristo Menegon e Maria Rita Zuco. Ricordi di emigrazione in Svizzera

Correva l’anno 1963 quando Evaristo, di Alano di Piave, nato il 28 dicembre 1946, decise di andare a passare le feste natalizie e il suo diciassettesimo compleanno dai fratelli, in Svizzera da parecchio tempo. Non pensava neppure lontanamente che quel viaggio gli avrebbe aperto delle porte fino a quel momento sconosciute. Aveva vissuto sempre ad Alano, dove dopo le elementari aveva frequentato la scuola di muratore.
Eccolo arrivare a Zurigo e quindi a Räterschen, un piccolo paese nel quale già vivevano la sorella – coniugata e con figli – e il fratello. Il 28 dicembre gli fecero una grande festa. Parlando del più e del meno finirono con il chiedergli: «Perché non resti qui?». Evaristo non pensò né al lavoro di muratore in Italia, che gli piaceva tanto, né ai genitori, e rispose in modo affermativo. Fece la visita medica, tutti i documenti necessari e andò a lavorare alla papierfabrik, la cartiera.Dopo un anno cambiò mestiere e passò a un’impresa edile di Räterschen, la Landgart & Valdvogel. Vi rimase per 15 anni, sempre ben voluto dai datori di lavoro, tanto da diventare presto, per la sua bravura e onestà, capocantiere. Prese la patente e comprò la macchina. Decise anche di ottenere la licenza media alla scuola serale italiana e il diploma di congegnatore meccanico. Nel frattempo, studiò da autodidatta il francese, lo spagnolo e naturalmente il tedesco. Viaggiò parecchio in Austria, in Francia e in Spagna.

Per le feste tornò sempre dai genitori a bordo della sua bellissima Volvo, che cambiava spesso e volentieri. D’inverno il luogo di lavoro era molto freddo, con neve e ghiaccio, ma Evaristo non si lamentò mai. Anzi, fu sempre contento e sereno, anche se ogni anno doveva sottoporsi a una nuova visita medica. La Confederazione Elvetica voleva infatti accertare lo stato di salute di tutti gli stranieri. Passati dieci anni ebbe diritto al permesso di soggiorno permanente, ma mai gli venne l’idea di rinnegare la sua patria per ottenere la cittadinanza svizzera.

Nel settembre del 1972, a casa di un amico, conobbe Maria Rita Zuco, una ragazza di 22 anni che viveva a Winterthur con i genitori. Maria Rita era diplomata in Italia come Perito aziendale, ma lavorava nella cucina dell’ospedale e la sera studiava il tedesco per stranieri. I due ragazzi fecero subito amicizia. Lui da Räterschen andava spesso a trovarla a Winterthur. Dopo qualche tempo, Maria Rita si dimise dall’ospedale e trovò impiego alla Volg, un grande ingrosso per l’agricoltura. Lavorava nella posta privata dell’azienda.
Nel luglio 1974 i due giovani si sposarono a Catania, luogo di origine della famiglia Zuco. Tornati in Svizzera dopo le nozze, si trasferirono in un bell’appartamento con tutte le comodità a Räterschen. Comprarono i mobili nuovi e furono felici. Maria Rita prendeva il treno la mattina alle 7 per arrivare sul posto di lavoro e si impegnava alacremente fino alle 17.30. Il lavoro al Postabteilung, il dipartimento postale, era appagante, era rispettata da tutti per la sua precisione, onestà e sveltezza. Era responsabile per il Kanton Thurgau e, ben preparata com’era al lavoro d’ufficio, non commetteva mai errori. Purtroppo perse il suo primo bambino quando era incinta da tre mesi e mezzo. Per lei fu un dolore fortissimo, poiché lo vide: era un maschietto, lungo sei centimetri, con i capelli neri.

Comunque, anche questo brutto momento passò, per lasciare spazio, tre mesi più tardi, a una nuova gravidanza.

Il 7 luglio nacque una bellissima bambina: Jeannette. Per il battesimo arrivarono molti famigliari dall’Italia, fu una grande festa. Dopo sei settimane dalla nascita e due settimane di ferie, Maria Rita dovette tuttavia tornare al lavoro. In Svizzera non esiste il permesso di maternità. La bambina venne iscritta al miglior asilo nido della città, visto che nessuno dei parenti volle accudirla. Fu un periodo intenso, la piccola veniva accompagnata al nido alle 6 del mattino, per tornare a casa alle 6 di sera. Maria Rita si stancò molto e finì con l’incappare in una depressione post parto. Venne ricoverata in ospedale e dovette assentarsi dal lavoro per sei mesi. Tornata alla Volg, pian piano le balenò, assieme ad Evaristo, l’idea di un ritorno in Italia. Quando la bimba aveva due anni e mezzo, comprarono un appartamento a Quero e il 27 marzo 1979 fecero rientro in patria, nella casa dove vivono tuttora.

La Famiglia De Nes. Dall’Italia al Brasile

137 anni di emigrazione in Brasile. È il traguardo raggiunto dalla famiglia De Nes, che ha festeggiato il 16 novembre 2019 con il primo incontro dei discendenti nella città di Encantado (Rio Grande do Sul). Proprio lì dove tutto ebbe inizio.
I primi ad arrivare furono Francesco De Nes, nato a Longarone il 18 settembre 1869, e sua mamma Giacomina Bratti, nata il 4 giugno 1846. Francesco aveva tredici anni e Giacomina era rimasta vedova. Con loro, a ricominciare la vita oltreoceano, c’erano anche i nonni materni, Andrea Bratti, nato il 19 febbraio 1821, e Domenica De Bona, nata il 30 agosto 1819.
La famiglia arrivò in Brasile, nel porto di Rio de Janeiro, il 15 dicembre 1882, a bordo della nave “Berlin”. Scelsero il Sud del Paese per vivere, stabilendosi nell’attuale città di Encantado – allora 3ª frazione di Lajeado – dove lavorarono come contadini.

Il 7 maggio del 1892 Francesco sposò Pia Giongo, nata nel 1870 nell’Impero austro-ungarico. Anche lei era arrivata nel porto di Rio de Janeiro, il 7 luglio 1879, quando aveva 10 anni. Era emigrata con i genitori, David Giongo e Maria Penes, viaggiando sulla nave “La France”. Nei registri dei passeggeri di quella nave sono presenti 54 austriaci. Di questi, 26 – inclusa Pia – ricevettero un sussidio dal Consolato brasiliano a Genova.

Gli sposi ebbero sette figli: David Pio De Nes, nato il 28 aprile 1893; Antonio Augustinho (28 novembre 1894), Ernesto Luiz (14 novembre 1896), Benjamin Degnho (25 agosto 1898), Giacomina De Nes (19 luglio 1900), Maria (22 settembre 1905) e Giusto João (1904).
Anche Giacomina Bratti, la madre di Francesco, in Brasile si risposò con Antonio Lucca. Morì a Encantado il 18 dicembre 1929, a 84 anni.
Francesco si spense invece il 26 aprile 1930, a 61 anni, e Pia venne a mancare il 12 settembre 1948, a 78 anni. Furono sepolti nel cimitero di Santo Antão, a Encantado.
Attualmente il cognome De Nes è diffuso tra gli stati di Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Paraná, São Paulo, Mato Grosso e Rio de Janeiro.
I discendenti si impegnano a portare avanti ricerche per conoscere meglio la loro storia e per ampliare i rapporti fra parenti di questa grande famiglia italo-brasiliana.

Valdir Francisco De Nes Chapecó, SC, Brasile