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Rainiero De Min e Bruno De March

Finhaut, Canton Vallese (Svizzera), 1974. Inaugurazione della diga d'Émosson
Finhaut, Canton Vallese (Svizzera), 1974. Inaugurazione della diga d’Émosson

Rainiero De Min, nato il 18 ottobre 1946, cominciò ben presto la sua vita da emigrante. All’età di 17 anni, infatti, partì per la Svizzera con destinazione Dietikon, nel Canton Zurigo, dove rimase a lavorare per tre stagioni, tra il 1963 e il 1965.

Dopodiché, nel 1966 da Dietikon si trasferì a lavorare sul passo di Lucomagno, in alta montagna, dove si stava costruendo la diga di Santa Maria.

Rientrato in patria per assolvere all’obbligo del servizio militare, e dopo due stagioni di lavoro come autista in Italia, nel 1969 fece di nuovo la valigia per la Svizzera, tornando ancora in un cantiere in alta montagna, precisamente a Finhaut, nel Canton Vallese, dove si stava costruendo la diga d’Émosson, una diga ad arco alta 180 metri, il quinto sbarramento più alto della Svizzera. Terminato il lavoro in Svizzera, partì per la Libia, rimanendo nel Paese nordafricano dall’agosto del 1974 fino al 1978. In Libia lavorò a Sirte e a Misurata con la ditta italiana Cogefar. Dopo la Libia, tornò nuovamente in Italia e per diversi anni lavorò nell’edilizia e negli impianti di risalita in giro per tutto il Paese. A metà anni ‘90 l’ultima esperienza di lavoro all’estero lo portò in Estremo Oriente, in un cantiere in Cina, dove rimase per circa tre mesi. Poi la meritata pensione e il ritorno a Chies d’Alpago, dove attualmente è un’importante sostenitore della locale Famiglia ex emigranti.


Svizzera, passo del Lucomagno (Canton Grigioni), 1966. Costruzione della diga di Santa Maria. Bruno De March al lavoro
Svizzera, passo del Lucomagno (Canton Grigioni), 1966.
Costruzione della diga di Santa Maria. Bruno De March al lavoro

Bruno De March, nato l’11 dicembre 1947, emigrò in Svizzera per la prima volta a 15 anni. Nel 1962, infatti, raggiunse la cugina in terra elvetica, dove lavorò per qualche mese come garzone addetto alla mensa nell’aeroporto di Zurigo. Rientrato in Italia nel 1963, vi rimase fino al 1966, lavorando come apprendista meccanico. Imparato il mestiere, tornò in Svizzera, dove già erano presenti altri compaesani di Chies d’Alpago.

Lavorò fino al 1967 alla diga di Santa Maria sul passo di Lucomagno, nel Canton Grigioni. La diga fu inaugurata nel ‘68, dopodiché partì per Zurigo e vi rimase per un anno e mezzo, lavorando nell’edilizia.

Nel 1971 si spostò ancora, andando a lavorare alla costruzione della diga d’Émosson, nel Canton Vallese. E nel ‘72 di nuovo fece ritorno a Zurigo, dove rimase fino al 2000, sempre alla dipendenza della Piller & Co. ricoprendo diversi ruoli, tra cui il macchinista, il gruista e l’addetto alla manutenzione dei macchinari. Nel 2001 andò in pensione e fece rientro in provincia di Belluno.

Nel 1977 entrò anche a far parte della Famiglia Bellunese di Zurigo, della quale fu per qualche anno presidente. Attualmente è invece il presidente della Famiglia ex emigranti dell’Alpago.

Umberto Lisot

Nella foto Mario, Umberto
e Alvimar Luiz Lisot nella vecchia corte di Can
Mario, Umberto
e Alvimar Luiz Lisot nella vecchia corte di Can

Nacque a Can di Cesiomaggiore (BL), il 2-6-1943, da famiglia contadina. Trascorse un’infanzia felice, in mezzo alla natura, dove venivano coltivati i più svariati prodotti della terra. All’età di nove anni si trasferì a Villa di Pria – Santa Giustina , dove la famiglia acquistò un’estesa fattoria, completa di frutteto, vigneto e bosco. Il padre desiderava che rimanesse a lavorare la terra assieme al fratello, ma Umberto capì presto che non sarebbe stata la sua professione, per cui, volendo specializzarsi, andò a frequentare, presso il rinomato I.T.I. “Segato” di Belluno, il corso serale di meccanica per due anni e, successivamente, per tornitore per altri due anni. Nel frattempo lavorava come apprendista presso la ditta Corona Giampaolo a Bettin di Salce, dove venivano costruite macchine segatronchi, squadratrici ed affilatavole. Per i primi tre mesi, essendo apprendista, non percepiva stipendio ed era tenuto ad eseguire i lavori più umili, compresa la mansione di scaldare le vivande portate da casa dai singoli operai e, al sabato, la pulizia della mensa, dei capannoni e di tutti i servizi igienici. Al momento della doccia, per lui, c’era solo acqua fredda. Finalmente percepì il primo stipendio di 3.000 lire (2.000 servivano per il viaggio).
Nel 1962, completati i corsi serali, si trasferì ad Aarau (Canton Argovia), Svizzera, dove trovò subito lavoro come operaio specializzato presso la ditta Kern (oltre 1.300 dipendenti) che costruiva strumenti ottici meccanici di precisione (livelli, teodoliti,teodoliti astronomici, macchine topografiche, strumenti militari, cannocchiali, binocoli, microscopi, compassi ed altro ancora).

Il primo impatto fu duro, per la richiesta di alta precisione e per la difficoltà di traduzione, dal tedesco, delle fasi di lavorazione. Per questo frequentò un corso di tedesco e la situazione, ben presto, migliorò. Si fece subito apprezzare dai superiori, per cui gli venivano commissionate lavorazioni specialistiche di prototipi.

Nel 1967 si sposò con Ester Casagrande che partì per la Svizzera assieme a lui subito dopo il matrimonio e che venne assunta dalla stessa ditta Kern.Nel 1968 tornì gli obiettivi per la NASA, che stava preparando la spedizione sulla luna (Apollo 9) ed in seguito gliene vennero commissionati altri, fino all’Apollo 15. Inoltre lavorò alcuni prototipi anche per l’esercito russo.

Il 1969 fu un anno da ricordare: la nascita del figlio Marco, lo sbarco sulla luna ed i 150 anni di attività della ditta Kern.
Nel 1970 ci fu la svolta e venne assunto come impiegato con la mansione di tecnico di controllo volante: doveva seguire tutte le fasi di lavorazione, fino al montaggio. La stima era reciproca e al sabato mattina, nel reparto degli apprendisti, poteva utilizzare i macchinari per costruirsi vari strumenti: dei cannocchiali, un binocolo, un telescopio, una lampada, dei soprammobili ed un orologio a muro.

Gli anni trascorsi in Svizzera furono molto belli e con tante soddisfazioni, ma c’era il desiderio di tornare in Italia. Nel 1973 nacque il secondogenito Luca e, quando egli aveva solo sette mesi, la moglie partì, con i due figli, per l’Italia e, nel 1975, anche Umberto ritornò al paese, dove subito trovò lavoro presso l’allora Zanussi di Mel, con la mansione di caposquadra, fino alla pensione.

Gli è rimasto l’amore per la natura: cura un piccolo frutteto ed ha mantenuto l’hobby di apicoltore e di tecnico apistico.

Rainiero De Min e Bruno De March

diga d'Émosson
Finhaut, Canton Vallese (Svizzera), 1974. Inaugurazione della diga d’Émosson

Rainiero De Min, nato il 18 ottobre 1946, cominciò ben presto la sua vita da emigrante. All’età di 17 anni, infatti, partì per la Svizzera con destinazione Dietikon, nel Canton Zurigo, dove rimase a lavorare per tre stagioni, tra il 1963 e il 1965.
Dopodiché, nel 1966 da Dietikon si trasferì a lavorare sul passo di Lucomagno, in alta montagna, dove si stava costruendo la diga di Santa Maria.
Rientrato in patria per assolvere all’obbligo del servizio militare, e dopo due stagioni di lavoro come autista in Italia, nel 1969 fece di nuovo la valigia per la Svizzera, tornando ancora in un cantiere in alta montagna, precisamente a Finhaut, nel Canton Vallese, dove si stava costruendo la diga d’Émosson, una diga ad arco alta 180 metri, il quinto sbarramento più alto della Svizzera. Terminato il lavoro in Svizzera, partì per la Libia, rimanendo nel Paese nordafricano dall’agosto del 1974 fino al 1978. In Libia lavorò a Sirte e a Misurata con la ditta italiana Cogefar. Dopo la Libia, tornò nuovamente in Italia e per diversi anni lavorò nell’edilizia e negli impianti di risalita in giro per tutto il Paese. A metà anni ‘90 l’ultima esperienza di lavoro all’estero lo portò in Estremo Oriente, in un cantiere in Cina, dove rimase per circa tre mesi. Poi la meritata pensione e il ritorno a Chies d’Alpago, dove attualmente è un’importante sostenitore della locale Famiglia ex emigranti.


Svizzera, passo del Lucomagno (Canton Grigioni), 1966. Costruzione della diga di Santa Maria. Bruno De March al lavoro
Svizzera, passo del Lucomagno (Canton Grigioni), 1966.
Costruzione della diga di Santa Maria. Bruno De March al lavoro

Bruno De March, nato l’11 dicembre 1947, emigrò in Svizzera per la prima volta a 15 anni. Nel 1962, infatti, raggiunse la cugina in terra elvetica, dove lavorò per qualche mese come garzone addetto alla mensa nell’aeroporto di Zurigo. Rientrato in Italia nel 1963, vi rimase fino al 1966, lavorando come apprendista meccanico. Imparato il mestiere, tornò in Svizzera, dove già erano presenti altri compaesani di Chies d’Alpago. Lavorò fino al 1967 alla diga di Santa Maria sul passo di Lucomagno, nel Canton Grigioni. La diga fu inaugurata nel ‘68, dopodiché partì per Zurigo e vi rimase per un anno e mezzo, lavorando nell’edilizia. Nel 1971 si spostò ancora, andando a lavorare alla costruzione della diga d’Émosson, nel Canton Vallese. E nel ‘72 di nuovo fece ritorno a Zurigo, dove rimase fino al 2000, sempre alla dipendenza della Piller & Co. ricoprendo diversi ruoli, tra cui il macchinista, il gruista e l’addetto alla manutenzione dei macchinari. Nel 2001 andò in pensione e fece rientro in provincia di Belluno. Nel 1977 entrò anche a far parte della Famiglia Bellunese di Zurigo, della quale fu per qualche anno presidente. Attualmente è invece il presidente della Famiglia ex emigranti dell’Alpago.

Umberto Lisot. Nel 1968 tornì gli obbiettivi per la Nasa

Al centro Umberto Lisot
Mario, Umberto e Alvimar Luiz Lisot nella vecchia corte di Can

Nacque a Can di Cesiomaggiore (BL), il 2-6-1943, da famiglia contadina. Trascorse un’infanzia felice, in mezzo alla natura, dove venivano coltivati i più svariati prodotti della terra. All’età di nove anni si trasferì a Villa di Pria – Santa Giustina , dove la famiglia acquistò un’estesa fattoria, completa di frutteto, vigneto e bosco. Il padre desiderava che rimanesse a lavorare la terra assieme al fratello, ma Umberto capì presto che non sarebbe stata la sua professione, per cui, volendo specializzarsi, andò a frequentare, presso il rinomato I.T.I. “Segato” di Belluno, il corso serale di meccanica per due anni e, successivamente, per tornitore per altri due anni. Nel frattempo lavorava come apprendista presso la ditta Corona Giampaolo a Bettin di Salce, dove venivano costruite macchine segatronchi, squadratrici ed affilatavole. Per i primi tre mesi, essendo apprendista, non percepiva stipendio ed era tenuto ad eseguire i lavori più umili, compresa la mansione di scaldare le vivande portate da casa dai singoli operai e, al sabato, la pulizia della mensa, dei capannoni e di tutti i servizi igienici. Al momento della doccia, per lui, c’era solo acqua fredda. Finalmente percepì il primo stipendio di 3.000 lire (2.000 servivano per il viaggio).
Nel 1962, completati i corsi serali, si trasferì ad Aarau (Canton Argovia), Svizzera, dove trovò subito lavoro come operaio specializzato presso la ditta Kern (oltre 1.300 dipendenti) che costruiva strumenti ottici meccanici di precisione (livelli, teodoliti,teodoliti astronomici, macchine topografiche, strumenti militari, cannocchiali, binocoli, microscopi, compassi ed altro ancora).
Il primo impatto fu duro, per la richiesta di alta precisione e per la difficoltà di traduzione, dal tedesco, delle fasi di lavorazione. Per questo frequentò un corso di tedesco e la situazione, ben presto, migliorò. Si fece subito apprezzare dai superiori, per cui gli venivano commissionate lavorazioni specialistiche di prototipi.

Nel 1967 si sposò con Ester Casagrande che partì per la Svizzera assieme a lui subito dopo il matrimonio e che venne assunta dalla stessa ditta Kern.Nel 1968 tornì gli obiettivi per la NASA, che stava preparando la spedizione sulla luna (Apollo 9) ed in seguito gliene vennero commissionati altri, fino all’Apollo 15. Inoltre lavorò alcuni prototipi anche per l’esercito russo.

Il 1969 fu un anno da ricordare: la nascita del figlio Marco, lo sbarco sulla luna ed i 150 anni di attività della ditta Kern.
Nel 1970 ci fu la svolta e venne assunto come impiegato con la mansione di tecnico di controllo volante: doveva seguire tutte le fasi di lavorazione, fino al montaggio. La stima era reciproca e al sabato mattina, nel reparto degli apprendisti, poteva utilizzare i macchinari per costruirsi vari strumenti: dei cannocchiali, un binocolo, un telescopio, una lampada, dei soprammobili ed un orologio a muro.
Gli anni trascorsi in Svizzera furono molto belli e con tante soddisfazioni, ma c’era il desiderio di tornare in Italia. Nel 1973 nacque il secondogenito Luca e, quando egli aveva solo sette mesi, la moglie partì, con i due figli, per l’Italia e, nel 1975, anche Umberto ritornò al paese, dove subito trovò lavoro presso l’allora Zanussi di Mel, con la mansione di caposquadra, fino alla pensione.
Gli è rimasto l’amore per la natura: cura un piccolo frutteto ed ha mantenuto l’hobby di apicoltore e di tecnico apistico.

Evaristo Menegon e Maria Rita Zuco. Ricordi di emigrazione in Svizzera

Correva l’anno 1963 quando Evaristo, di Alano di Piave, nato il 28 dicembre 1946, decise di andare a passare le feste natalizie e il suo diciassettesimo compleanno dai fratelli, in Svizzera da parecchio tempo. Non pensava neppure lontanamente che quel viaggio gli avrebbe aperto delle porte fino a quel momento sconosciute. Aveva vissuto sempre ad Alano, dove dopo le elementari aveva frequentato la scuola di muratore.
Eccolo arrivare a Zurigo e quindi a Räterschen, un piccolo paese nel quale già vivevano la sorella – coniugata e con figli – e il fratello. Il 28 dicembre gli fecero una grande festa. Parlando del più e del meno finirono con il chiedergli: «Perché non resti qui?». Evaristo non pensò né al lavoro di muratore in Italia, che gli piaceva tanto, né ai genitori, e rispose in modo affermativo. Fece la visita medica, tutti i documenti necessari e andò a lavorare alla papierfabrik, la cartiera.Dopo un anno cambiò mestiere e passò a un’impresa edile di Räterschen, la Landgart & Valdvogel. Vi rimase per 15 anni, sempre ben voluto dai datori di lavoro, tanto da diventare presto, per la sua bravura e onestà, capocantiere. Prese la patente e comprò la macchina. Decise anche di ottenere la licenza media alla scuola serale italiana e il diploma di congegnatore meccanico. Nel frattempo, studiò da autodidatta il francese, lo spagnolo e naturalmente il tedesco. Viaggiò parecchio in Austria, in Francia e in Spagna.

Per le feste tornò sempre dai genitori a bordo della sua bellissima Volvo, che cambiava spesso e volentieri. D’inverno il luogo di lavoro era molto freddo, con neve e ghiaccio, ma Evaristo non si lamentò mai. Anzi, fu sempre contento e sereno, anche se ogni anno doveva sottoporsi a una nuova visita medica. La Confederazione Elvetica voleva infatti accertare lo stato di salute di tutti gli stranieri. Passati dieci anni ebbe diritto al permesso di soggiorno permanente, ma mai gli venne l’idea di rinnegare la sua patria per ottenere la cittadinanza svizzera.

Nel settembre del 1972, a casa di un amico, conobbe Maria Rita Zuco, una ragazza di 22 anni che viveva a Winterthur con i genitori. Maria Rita era diplomata in Italia come Perito aziendale, ma lavorava nella cucina dell’ospedale e la sera studiava il tedesco per stranieri. I due ragazzi fecero subito amicizia. Lui da Räterschen andava spesso a trovarla a Winterthur. Dopo qualche tempo, Maria Rita si dimise dall’ospedale e trovò impiego alla Volg, un grande ingrosso per l’agricoltura. Lavorava nella posta privata dell’azienda.
Nel luglio 1974 i due giovani si sposarono a Catania, luogo di origine della famiglia Zuco. Tornati in Svizzera dopo le nozze, si trasferirono in un bell’appartamento con tutte le comodità a Räterschen. Comprarono i mobili nuovi e furono felici. Maria Rita prendeva il treno la mattina alle 7 per arrivare sul posto di lavoro e si impegnava alacremente fino alle 17.30. Il lavoro al Postabteilung, il dipartimento postale, era appagante, era rispettata da tutti per la sua precisione, onestà e sveltezza. Era responsabile per il Kanton Thurgau e, ben preparata com’era al lavoro d’ufficio, non commetteva mai errori. Purtroppo perse il suo primo bambino quando era incinta da tre mesi e mezzo. Per lei fu un dolore fortissimo, poiché lo vide: era un maschietto, lungo sei centimetri, con i capelli neri.

Comunque, anche questo brutto momento passò, per lasciare spazio, tre mesi più tardi, a una nuova gravidanza.

Il 7 luglio nacque una bellissima bambina: Jeannette. Per il battesimo arrivarono molti famigliari dall’Italia, fu una grande festa. Dopo sei settimane dalla nascita e due settimane di ferie, Maria Rita dovette tuttavia tornare al lavoro. In Svizzera non esiste il permesso di maternità. La bambina venne iscritta al miglior asilo nido della città, visto che nessuno dei parenti volle accudirla. Fu un periodo intenso, la piccola veniva accompagnata al nido alle 6 del mattino, per tornare a casa alle 6 di sera. Maria Rita si stancò molto e finì con l’incappare in una depressione post parto. Venne ricoverata in ospedale e dovette assentarsi dal lavoro per sei mesi. Tornata alla Volg, pian piano le balenò, assieme ad Evaristo, l’idea di un ritorno in Italia. Quando la bimba aveva due anni e mezzo, comprarono un appartamento a Quero e il 27 marzo 1979 fecero rientro in patria, nella casa dove vivono tuttora.